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Sabato, 2 settembre,
nel
mondo… |
a
Roma... |
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e anche a Milano: |
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I
retroscena
Recentemente,
il 29 luglio 2023, il Segretario di Stato USA Anthony Blinken, in
visita in Australia, ha rigettato la
richiesta dei suoi interlocutori australiani di porre fine alla
persecuzione giudiziaria di Julian Assange (nato e cresciuto in
Australia). Blinken ha poi motivato il suo rifiuto dicendo che
Assange, con le sue rivelazioni dei crimini di guerra USA/UK in Iraq
e in Afghanistan, avrebbe “rischiato di causare un danno molto
grave alla sicurezza nazionale [degli Stati Uniti].”
Ma
attenzione alle parole! Blinken non ha affermato che Assange
avrebbe
causato
danni
alla sicurezza (come invece si era detto al momento delle
rivelazioni). Avrebbe soltanto rischiato
– ipoteticamente
– di
causare danni, il che è ben diverso. E difatti, il 16 agosto
del 2010, l’allora Segretario alla Difesa Robert Gates ha
inviato una testimonianza scritta ad una Commissione del Senato in
cui negava che le rivelazioni di WikiLeaks avessero compromesso la
sicurezza nazionale in qualche maniera. Idem per l’accusa di
aver causato morti o danni alle persone: per Gates è
infondata, non sussiste.
Ma
allora come si fa a perseguitare accanitamente una persona per ben 13
anni e a volerla poi incarcerare
per altri 175, solo
per aver fatto correre un ipotetico rischio?
I
politici
australiani ai quali Blinken
si era rivolto gli
hanno posto questa domanda? Hanno detto a Blinken che, dopo quattro
anni di carcere duro in una cella di isolamento a Londra, Assange ha
più che pagato per l’ipotetico rischio che avrebbe
causato e, pertanto, andrebbe rilasciato subito? Hanno ingiunto
a
Blinken di ritirare la richiesta di estradizione di Assange negli
Stati Uniti?
No, niente di tutto ciò. Non hanno
profferito una parola.
Eppure avevano il coltello dalla
parte del manico: Blinken era venuto in Australia per chiedere
d’impiantare nuove basi militari in funzione anti cinese; i
politici australiani avrebbero certamente potuto porre come
condizione preliminare
alle trattative, la liberazione di Assange. Invece, la Ministra degli
Esteri Wong e gli altri politici australiani hanno scelto
il
silenzio.
Questa
arrendevolezza, da parte dell’Australia, deve finire!
Come
attivisti per Assange, dobbiamo perciò far capire
alle
autorità australiane che è giunto il momento di
assumere un
atteggiamento più assertivo verso il loro partner
statunitense. Hanno ora il potere di imporre al
loro alleato la fine della persecuzione giudiziaria di Julian
Assange: che lo esercitino!
Non
saremo soli a voler mettere pressione sulle autorità di
Canberra; possiamo contare sul sostegno di gran parte della
popolazione australiana e di una blocco trasversale importante nel
Parlamento, decisamente favorevole al rimpatrio immediato del loro
connazionale.
Alcuni di questi attivisti australiani
hanno chiesto ai gruppi internazionali pro-Assange di organizzare un
presidio, il 2 settembre, davanti alle ambasciate e ai consolati
australiani in tutto il mondo. Per dire al
primo ministro Anthony Albanese, senza mezzi termini: “Caro
Albo, basta con le promesse di mettere pressione sugli USA per
chiudere il caso Assange, ora vogliamo vederla passare visibilmente
all’offensiva. AUSTRALIA, FATTI SENTIRE! BATTI UN COLPO!! DATTI
DA FARE SUBITO PER LA LIBERAZIONE DI JULIAN ASSANGE!!!”
Il
2 settembre, ore 17, venite tutti al presidio che si terrà
davanti all’Ambasciata australiana in Roma – via Antonio
Bosio 5, quasi all’angolo con la via Nomentana, quartiere Villa
Torlonia. Fate sentire anche la vostra voce.
Contemporaneamente
ci sarà un presidio a Milano presso il Consolato australiano,
organizzato dal Comitato per la Liberazione di Julian Assange –
Italia. Saremo in collegamento telefonico con loro.
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